Perfetti sconosciuti: non solo di tradimenti e cellulari
"Perfetti sconosciuti" è un film del regista Paolo Genovese, lo stesso del film "The place", a cui anche abbiamo dedicato un'analisi psicologica (per chi fosse interessato, cliccare qui).
Il film è quindi ormai in circolazione da due anni abbondanti, ha avuto (giustamente) successo ed è molto conosciuto. La trama è molto semplice: si tratta di una cena tra amici in cui per gioco i partecipanti decidono di condividere per la durata della sera tutto quello che riceveranno sui propri cellulari, dalle chiamate ai messaggi. Ne emerge una serie di scoperte nefaste legate ai segreti più intimi dei personaggi che creeranno problemi di non poco conto nelle coppie e non solo.
Segreti e tradimenti sono i due temi principali del film, soprattutto relativamente alla vita di coppia. Del tradimento nella coppia abbiamo già affrontato in vari articoli (per esempio parlando del ruolo del tradimento o di chi rischia di più), così come di analisi del film su questo tema sono facilmente reperibili su altri siti di psicologia e non solo.
Sembrava quindi più interessante focalizzarsi su altri due temi che emergono dal film.
Cene tra amici: tra appartenenza e condivisione
Il ruolo delle "cene tra amici" e delle "rimpatriate" è spesso centrale in varie opere letterarie, teatrali e cinematografiche. Dal punto di vista della regia, il film ricorda molto "La cena tra amici" e "Carnage". In parte abbiamo affrontato l'argomento parlando di The Big Chill e Compagni di scuola.
Le cene tra amici sembrano lo scenario prediletto per far emergere fantasmi dal passato e rompere schemi di credenze costruiti nel tempo sulle persone che meglio pensiamo di conoscere (molto interessante la scelta alla "sliding doors" con cui Genovese chiude "Perfetti Sconosciuti"). Ci si conosce da una vita, eppure emergono informazioni così nuove e sconcertanti sul passato o sul presente che ci rendono le persone a noi più familiari come dei... perfetti sconosciuti. Se accade tra amici, figuriamoci quando e quanto questo accade in una coppia. Con sfumature diverse, possiamo ritrovare lo stesso tema in "I nostri ragazzi", dove la drammaticità è maggiore e dove alle dinamiche di coppia si intrecciano quelle tra parenti.
Le cene e le rimpatriate tra amici sembrano quindi da un lato essere l'immaginario di un momento di serenità, di tranquillità, dove ci si muove su un passato noto, condiviso, per certi versi quindi rassicurante. L'occasione della presenza di una persona più "giovane" come appartenenza al gruppo diventa un ottimo pretesto per rivangare nel passato: in "Perfetti sconosciuti" si può notare bene tale dinamica dal momento che il gruppo dei 7 amici è composto dal sottogruppo originario di 4 uomini amici dall'infanzia e dalle mogli di 3 di loro. Una di queste mogli è entrata nel gruppo molto dopo le altre, per cui è la classica persona che non conosce il passato dei vari amici.
Quante volte ad una cena di amici quando arriva una nuova fidanzata o un nuovo fidanzato di un membro storico del gruppo si scatena la rievocazione di quel che era lui/lei prima che arrivasse la nuova metà?
La condivisione del passato del gruppo diventa una sorta di rito di iniziazione al gruppo, l'appartenenza passa anche dalla condivisione di memorie collettive.
Ecco perchè appare ancora più perturbante quando in contesti come le cene tra vecchi amici compaiono segreti o dissidi: se capitasse coi colleghi saremmo meno turbati, ma con gli amici di una vita diventa uno smarrimento.
I segreti come strumento di regolamentazione delle relazioni
Non mi addentro ora in tematiche riassumibili citando una celebre frase di Garcia Marquez, "Ciascuno di noi ha tre vite: una pubblica, una privata e una segreta" o col pirandelliano "Uno, nessuno, centomila": preferisco invece slittare su un altro tema, quello del segreto come marcatore di confini relazionali.
A questo proposito, trovo molto emblematico in "Perfetti Sconosciuti", una delle prime scene, il dialogo tra la ragazza adolescente e la propria madre ed il ruolo del padre che emergerà nel corso del film.
Come sottolinea Miriam Ganfolfi in "Psicoterapia. Manuale di tessitura del cambiamento.", la vera importanza di un segreto non è nel contenuto, ma il suo determinare chi ne è parte e chi ne è escluso.
Una delle frasi più ricorrenti nel film nel momento in cui i protagonisti devono decidere se accettare o no il gioco dei cellulari sul tavolo, è "tanto io non ho segreti". Spesso è una frase che sento in psicoterapia dai genitori di adolescenti nei confronti dei figli. Quando la sento ho il fortissimo pregiudizio che la realtà sia ben diversa (o almeno me lo auguro).. mi chiedo se l'adolescente sia stato bravo a far credere alla madre di non aver segreti per godere di più libertà di azione, o non si possa permettere di manifestare di avere una vita propria... e se così è, e veramente non ci sono segreti, il livello di preoccupazione diviene maggiore.
Non si tratta di un'ode alla menzogna o all'omissione, ma è proprio attraverso la costruzione di una propria area riservata che un adolescente si definisce maggiormente come persona e individuo, esattamente come verso i 2-3 anni di vita fanno i bambini con i loro "NO". L'adolescente ha bisogno dei propri spazi di manovra personali, pensiamo alle porte delle camerette che si chiudono, ai diari segreti.
Nel film la vicenda della famiglia con figlia adolescente è resa ancor più spassosa per il fatto che la madre della ragazza è una psicologa. Il dialogo tra marito (chirurgo estetico, ma "figlio di fruttaroli", come lui stesso precisa per sottolineare la perniciosità di alcun letture psicologiche della moglie sulla figlie) e moglie su come gestire i comportamenti della figlia è davvero spiritoso e ricco di spunti.
Nella vicenda in questione emergerà molto bene il ruolo del segreto come regolatore delle dinamiche familiari madre-padre-figlia