Il fine giustifica i mezzi od occuparsi dei mezzi e il fine arriverà da sè?
Nessun spoiler: un breve accenno alla trama
Dopo "Perfetti Sconosciuti" (2016), Paolo Sorrentino produce un altro film geniale.
Come sempre, nella sezione Cinema e Psicologia di Psicologo Melzo e Psicologo Novate, non analizziamo i film da un punto di vista cinematografico, ma dal punto di vista delle riflessioni e degli spunti psicologici che emergono... per cui non mi addentro in ipotesi e interpretazioni rispetto alla natura del protagonista, del personaggio interpretato da Sabrina Ferilli o dal livello di sovrannaturalità della trama.
A proposito di trama, riassumerla senza rischiare spoiler è molto semplice: il film è ambientato all'interno di un bar (che dà il nome al film, "The Place"), in cui vi è un uomo che sempre seduto ad un tavolino, con la propria agenda.
A lui (interpretato da un bravissimo Valerio Mastandrea) si rivolgono diversi personaggi bisognosi e/o desiderosi (e già su questa sfumatura si potrebbero aprire riflessioni interessanti) di ottenere qualcosa.
Le richieste possono dettate dalla paura di perdere persone molto care (un marito anziano, un bimbo in fase terminale), o anche meno drammatiche (diventare più belli, trovare soldi...), ma sono tutte accomunate da una contro-richiesta da parte dell'uomo del tavolino: per realizzare quanto richiesto, bisogna portare a termine un compito (e nel modo indicato). Il problema è che tale compito molto spesso implicherebbe una violazione dei principi morali delle persone che dovrebbero realizzarlo.
Ad un primo livello di analisi, la riflessione potrebbe volgere verso il quesito: "quanto sei disposto per ottenere quello che vuoi?". In tale ottica, ci troveremmo di fronte ad una sorta di esperimento di psicologia sociale volto ad analizzare i dilemmi morali (per esempio, quanto il fine giustifica i mezzi?).
Compiti paradossali e soluzioni controparadossali
A dire il vero però il film offre altri spunti: per esempio, un personaggio sfodera una soluzione al dilemma morale con un controparadosso, un vero colpo di genio che mette in scacco il personaggio del tavolo misterioso.
Dal film alla psicoterapia
Il film pone anche argomenti di riflessione utili che sono trasferibili al mondo della psicoterapia e dei vari professionisti della relazione di aiuto, degli interventi riabilitativi. Nel film infatti emerge molto bene come una volta innescato "un compito" o un cambiamento, il processo non è più reversibile, al punto che nel film gli eventi sembrano prendere pieghe impreviste che coinvolgono persone fino a quel momento estranee alle vicende. Anche nel mondo della psicoterapia o degli interventi riabilitativi succedono fenomeni simili: lavorare sulle autonomie di una persona con disabilità o sul benessere di una persona che passa da un momento di sofferenza intensa ad una condizione di benessere, implica necessariamente dei cambiamenti conseguenti anche nel sistema di relazioni delle persone più o meno prossime all'individuo con cui si sta lavorando. Se per esempio un ragazzino con sindrome di Down impara a fare il tragitto casa-scuola da solo, non avrà più bisogno di un familiare che lo accompagni.. e che ne è di questo neo "disoccupato"? C'è chi si butterà in altre azioni, ma anche chi si sentirà "Inutile", se nessuno avrà più bisogno di un "sorvegliante" a tempo pieno.
Se una persona con attacchi di panico che le impediscono di uscire da casa se non in compagnia di un familiare riuscisse a riappropriarsi della propria autonomia, che ne sarebbe del proprio accompagnatore?
Le storie dei personaggi del film, intenti a portare avanti il proprio compito, sembrano dimostrare come una volta innescati certi processi, gli esiti siano al contempo irreversibili e anche al di fuori dalla portata del controllo di chi li ha innescati.
Si diceva prima che uno dei temi del film potrebbe essere un interrogativo sul principio machiavellico: il fine giustifica i mezzi? Per ottenere quel che si vuole, fino a che punto si potrebbe arrivare? Un altro aspetto su cui il film porta a riflettere è l'importanza di una massima di Ghandi, complementare a quella di Machiavelli: "occupatevi dei mezzi ed il fine verrà da sè".
Nel film infatti, per il personaggio che indica i compiti da assolvere, non è importante solo che le persone facciano quello che lui chieda, ma che rispettino anche il modo in cui l'azione è richiesta. Anzi, in diverse storie risulta fondamentale la variabile del "come".
Anche questo aspetto è molto ricorrente nel mondo della relazione di aiuto e delle relazioni umane: il come si fa un'azione incide profondamente sull'esito e sulla qualità dell'azione stessa.
Per esempio, sottrarre un piatto di pappa ad un bambino perchè non la sta mangiando e sta imbrattando tutta la cucina può avere il suo senso: ma dire "sei un bambino cattivo perchè non mangi e ci sono bambini che muoiono di fame" oppure "siccome butti tutto in giro a me sembra che tu non abbia fame per cui ti tolgo il piatto" attribuisce allo stesso comportamento due significati diversi (e ad altrettanti diverse definizioni della relazione adulto-bambino con ricadute sull'autopercezione identitaria di quest'ultimo)