Vivere sapendo di dover morire: tra senso della vita e angoscia
Nella sezione “affrontare la morte” presente sul nostro sito Psicologo Melzo Psicologo Novate, abbiamo pubblicato diversi articoli relativi al Lutto, sul suo significato, sulle teorie che cercano di spiegarlo, sulle sue diverse forme, sui tempi per superarlo. Ci siamo anche soffermati su come spiegarlo ai bambini, su come capire quando è meglio chiedere l’aiuto di uno psicologo per superare la fase del lutto.
Col tempo ci siamo occupati anche del lutto degli animali, di lutto collettivo, dell’uso dei social network... insomma, non sembrano esserci aree della nostra esperienza in cui il lutto non sia una presenza più o meno vivida o latente, a seconda del periodo dell’anno e, soprattutto, della vita: non a caso, le festività natalizie, che per molti rappresentano più occasione di tristezza che di felicità, sono molto legate alla mancanza di chi non c’è più.
Nel lavoro con le persone, anche quando “il problema” è apparentemente molto lontano dal tema della morte, è facile che quest’ultima, in alcune fasi del lavoro terapeutico, diventi oggetto di conversazione. Come scritto in un altro articolo di Psicologo Melzo e Psicologo Novate, sebbene la morte rappresenti l’unica certezza della vita, si tratta sempre di un’esperienza complessa e complicata, a tratti angosciante e angosciosa. Proprio perché rappresenta l’unica certezza nella vita, non è affatto facile convivere con la consapevolezza costante del fatto che noi, e le persone che amiamo, moriremo.
Questioni religiose
Non credo sia un caso che ogni religione sia una risposta al tema della morte, proponendo vite ultraterrene o reincarnazioni... ad ogni modo le religioni forniscono degli “antidoti” all’idea della morte come elemento oltre cui nulla esiste. La prospettiva di una vita eterna diventa consolatrice e fonte di speranza per la propria persona e attenua il dolore della perdita delle persone che amiamo. Oltretutto, la religione spesso contribuisce anche a fornire significato alla vita, su come questa debba esser condotta per poter godere di una salvezza e di una vita che continui dopo la morte.
Questioni filosofiche
Anche in ambito più laico le riflessioni sulla morte sono state da subito protagoniste nelle opere e nei pensieri dei filosofi. Per Epicuro, per esempio, il filosofo doveva curare l’anima delle persone, così come i medici ne curano il corpo: la “miseria” dell’anima umana era per Epicuro proprio l’onnipresente paura di morire.
Questioni psicologiche e del ciclo di vita:
Come i bambini si approcciano alla morte
..Il rapporto con il pensiero della morte è molto influenzato dalle esperienze della biografia personale di ognuno di noi, ma in generale è curioso notare come i bambini piccoli imparano subito l’esperienza della precarietà e della non eternità degli esseri viventi: insegniamo loro lo scorrere delle stagioni, le foglie che cadono d’autunno, la vita che nasce in primavera... vedono gli insetti che magari loro stessi hanno schiacciato (dalle formichine alle zanzare che gli adulti eliminano appena capitano a tiro), ... e poi nonni o bisnonni che non si vedono più, che lasciano spazio alle lacrime e al dolore nei propri genitori.
Capita che i bambini provino a fare domande o parlare, alla loro maniera, della morte e di chi non c’è più, ma capita anche che colgano come questo metta in difficoltà gli adulti (che magari appaiono spiazzati, incerti, addolorati), per cui imparano non tanto quel che gli viene detto, ma a non parlare più della questione (magari diventando consolatori). Gli adulti cercano di non mostrare apertamente la propria sofferenza per una perdita ai bambini, nell’intento di proteggerli... ma i bambini colgono sia la presenza di queste emozioni dolorose e anche il tentativo di nasconderle.. Niente di più facile per un bambino pensare che quindi siano emozioni “cattive” e “sbagliate” se i genitori tendono a evitarle.
Con questo bagaglio di esperienze, mediamente un bambino trascorre gli anni delle elementari, dove acquisisce maggiori competenze cognitive ed esperienziali.. è con l’adolescenza che però il rapporto con la morte si ripropone in maniera più evidente.
L'adolescenza e il pensiero alla morte
Chi è stato adolescente si ricorderà delle “fantasie di morte”, di pensieri di morte (“se adesso mi uccidessi non gliene importerebbe nulla a nessuno” oppure “Se mi suicidassi capirebbero quanto hanno sbagliato/che cosa si è perso...”). L’adolescenza è la prima fase del ciclo di vita dove si assiste a casi di suicidio. Molti adolescenti cercano di sfidare la morte con bravate e imprese ad alto rischio (si pensi al film “gioventù bruciata”), o spostando il conflitto in contesti più sicuri (realtà virtuale, videogames...).
Il tema e le riflessioni sulla morte diventano più consapevoli nell’adolescenza, ma l’investimento principale è sul proprio progetto di vita.
L'età adulta ed oltre
La fase in cui il pensiero della morte inizia ad esser maggiormente incombente è nella cosiddetta “mezza età”, quando cronologicamente si ricorrono eventi quali l’uscita dei figli dal nido, la prospettiva della fine carriera e alcuni segni fisici che ricordano l’incedere del tempo.
Vi è poi l’arrivo della terza e della quarta età, dove il confronto con la morte è una realtà sempre più presente, quotidiana, in cui lo stato di salute in cui ci si arriva (il dolore cronico e la mancanza di autonomie personali sono i fattori che peggiorano la qualità di vita) è una variabile che molto incide sul rapporto con il tema del fine vita. Vi è inoltre un ulteriore fattore, al quale dedicheremo un apposito articolo, che è il grado di soddisfazione della propria vita, ad incidere sull’angoscia della morte.