La solitudine: un problema di salute pubblica?

Da un problema di salute pubblica al lavoro in psicoterapia

Il primo settembre 2018, l’Economist ha pubblicato un articolo per approfondire il tema della crescente solitudine all’interno della popolazione inglese.
Il fenomeno pare così in aumento che alcune associazioni di volontariato organizzano, per le persone sole, delle serate con giochi quiz a squadre: queste vengono composte in modo eterogeneo per età e altre variabili.

I rischi della solitudine

La solitudine è diventata di pubblico interesse in quanto, secondo alcune ricerche, si tratta di una condizione che comporta effetti importanti anche sulla salute fisica, al punto che le persone sole risultano avere incidenza di patologie più alta e un’aspettativa di vita più bassa.

Sicuramente molti di voi penseranno che sia abbastanza ovvio, perché essere soli è deprimente, o alla lunga frustrante. Molti altri di voi, altrettanto probabilmente, si chiederanno come sia possibile, dato che vivere da soli permette una serie di libertà maggiori, con conseguente riduzione dei carichi di stress.

Il valore della solitudine

A sostenere questa posizione, vi sono per esempio gli ultimi quaranta anni di politiche sociali della Svezia, mirate a incentivare e rinforzare l’autonomia individuale.
Per chi fosse interessato a questo aspetto, rimando all’articolo dedicato specificatamente a questo tema, “La teoria svedese dell’amore”.

Dalla Svezia alla Psicologia

Sempre nell’articolo dedicato alla Svezia, ho messo in luce aspetti clinici e teorici che coinvolgono persone che si trovano in situazioni dilemmatiche in cui restare soli è un antidoto al senso di oppressione che deriva dall’avere una relazione, ma anche una condanna all’esposizione ai pericoli del mondo e quindi a una condizione di vulnerabilità.
Altre persone vivono la solitudine come esclusione, il non sentirsi accolti e appartenenti ai gruppi e ai contesti a cui ambiscono (per esempio, sentirsi stranieri in casa propria, essere tagliati fuori da una propria appartenenza come un partito, un’associazione,.. un’attività sportiva per limiti di età, da amici, dalla possibilità di accedere a certi corsi di studi).

Solitudine e psicoterapia: il lavoro con lo psicologo

Non sono rare le richieste che come psicologo e psicoterapeuta ricevo da parte di persone che chiedono un percorso personale per problemi legati alla solitudine: spesso è la richiesta di capire come si sia arrivati a perdere un legame, altre volte le persone chiedono di capire se ci sia qualcosa in loro che le porti a essere escluse o non scelte, oppure, c’è anche chi chiede di essere supportato ad affrontare una realtà caratterizzata dalla solitudine.

Le strade per il benessere sono molte e anche tanto diverse tra di loro, pur partendo da un numero ridotto di situazioni problematiche, come quelle appena descritte. Le situazioni che caratterizzano una persona che è, o si sente, sola, sono più frequentemente legate al senso di limite nel poter fare le cose, perché ritenuto triste o impensabile fare azioni che più comunemente si fanno in coppia (vacanze, cinema, ...), per il senso di precarietà (“se dovessi stare male”), per il senso di vuoto che si amplifica in certi periodi dell’anno (le feste, le vacanze, i week end) o della giornata (la sera, il rientro a casa). Ma, se queste aree di malessere sono comuni, molto differenti sono le storie alle spalle, le motivazioni per le quali una persona è sola. In molti casi, dal lavoro in psicoterapia emerge come la persona si lamenti per la propria solitudine, ma al contempo utilizzi strategie per evitare di avviare relazioni con altre persone. Inoltre, i significati con cui si vive la solitudine e le risorse o le strategie per fronteggiarla sono molto differenti e richiedono un lavoro di conoscenza approfondito, ma stare meglio, con un lavoro da costruire in psicoterapia, è possibile

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