Ciò che contraddistingue l’approccio sistemico è l’idea di “soggetto contestuale”, introdotta nelle scienze umane da Gregory Bateson negli anni Trenta.
Si tratta di un’idea di persona che sfida una concezione di uomo storicamente indiscussa del pensiero occidentale, l’idea che la vera essenza dell’uomo si identifichi con qualcosa di “interno” e di separato da tutti gli altri uomini all’ “esterno”.
L’idea di Bateson invece è che le emozioni, i pensieri e i processi mentali siano costruiti nell’interazione, in un dialogo con gli altri fatto di gesti e di contatti fisici, ancor più che di parole. Non si può quindi considerare il nostro cervello come unico contenitore della mente, perché i processi mentali, le emozioni e la conoscenza si sviluppano nell’interazione e nel dialogo.
Proprio in virtù di queste premesse, il modello sistemico-relazionale si pone in discontinuità con il pensiero psicologico più tradizionale: non si parla di personalità, ma di intersoggettività, cioè di come la nostra “identità” si sia costruita e si mantenga all’interno delle nostre relazioni.
La clinica sistemica è fin dai suoi inizi una reazione alla cultura dominante della psichiatria medicalizzante.
Nella clinica sistemica un comportamento problematico o una patologia mentale non sono da ricondurre alla persona in questione, sia che la causa sia un problema individuale, un deficit emotivo o cognitivo o un trauma più o meno rimosso.
Per noi non si parla di patologie, ma di relazioni e sistemi.