Ecco perchè la felicità è una psicopatologia al pari della depressione
Mi è capitato in mano un vecchio articolo quanto mai recente, visto tutta la discussion attiva sull’espansione delle diagnosi psichiatriche e uso di psicofarmaci.
Correva l’anno 1992: la guerra nei Balcani, l’incredibile vittoria della ripescata Danimarca agli Europei di calcio, due tra le pagine più tristi della storia del nostro paese si scrivevano a maggio e a luglio, con gli attentati mafiosi in cui persero la vita i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino .. l’inizio dell’era di tangentopoli...
Le dimensioni coinvolte dal disturbo dell'umore positivo
..a Liverpool uno psicologo di nome Bentall pubblicava un articolo nel quale provocatoriamente proponeva di considerare la felicità come un disturbo psichiatrico, in quanto è statisticamente anormale nella sua diffusione tra le persone e si caratterizza per una serie di sintomi precisi che riguardano:
- la sfera affettiva (vissuti di gioia, allegria, contentezza)
- la dimensione cognitiva (maggior senso di efficacia ed autostima, ottimismo)
- le scelte comportamentali (migliore qualità delle relazioni in famiglia, al lavoro, espressioni facciali riconoscibili come sorrisi, maggior predisposizione ad altruismo e altri comportamenti prosociali).
- L’autore dedica poi una parte molto più specifica riguardante le cause della felicità, così come nei manuali di diagnosi psichiatrica (il DSM) viene fatto per l’eziologia dei disturbi.
La costruzione di una diagnosi
In sintesi, vi sono componenti ambientali (esiste una correlazione tra eventi positivi nella vita e felicità) e personali (chi ha un’autostima maggiore pare essere più felice, così come per chi è più estroverso e risulta essere più socievole). Inoltre, Bentall ritiene plausibile sostenere che chi dichiara di essere felice sia veramente felice, motivo per cui l’autopercezione del proprio vissuto può essere incluso nei criteri diagnostici della felicità.
Se qualcuno tra di voi sta pensando che sia tutto abbastanza scontato, semplicistico e forse banale, sappia che questo accade anche nei criteri di valutazione, per esempio, della depressione (è più probabile in seguito a eventi drammatici, più facile in chi soffre di bassa autostima e chi si sente depresso probabilmente lo è davvero).
Oltretutto, siccome si è visto che uno stato di felicità intenso può portare a modifiche del comportamento non sempre positive (tendenza ad esser impulsivi, maggior possibilità di eccedere in consumo di alimenti e bevande alcoliche – si pensi alle cene per “festeggiare” qualche traguardo importante, matrimonio, laurea...), anche questo elemento è del tutto assimilabile ad uno stato psicopatologico (tale perché ha ricadute negative anche sui comportamenti).
Inoltre, altre ricerche dimostrano che persone particolarmente felici tendono a sovrastimare la propria capacità di controllo sugli eventi e sull’ambiente.
In sintesi: la felicità può esser considerata una psicopatologia in quanto:
- è statisticamente rara
- si caratterizza per una serie di “sintomi” (caratteristiche e comportamenti) precisi
- coinvolge le dimensioni cognitive, affettive e comportamentali
- prevede cambiamenti a livello di sistema nervoso centrale.
Detto questo, l’autore ravvede due possibili obiezioni alla propria teoria (e si tratta, a mio modo di vedere, di una raffinata ironia di forma rispetto alla struttura dell’articolo scientifico):
- la felicità non è una condizione per cui le persone normalmente richiedono terapia
- la felicità non è valutata negativamente
Dalla provocazione alla riflessione
Penso che la maggior parte di voi stia annuendo nel leggere queste opzioni: tuttavia, autocitando un precedente articolo apparso sul nostro sito Psicologo Melzo e Psicologo Novate relativamente al diritto della tristezza, è chiaro che vi è un forte senso arbitrario nel decidere che cosa è patologia e che cosa no. Stesso discorso è valso per esempio per l’omosessualità, che fino al 1994 era considerata una psicopatologia.
Riferimento bibliografico:
Bentall, R.P. (1992), A proposal to classify happiness as a psychiatric disorder. Journal of medical ethics, 1992, 18, 94-98