È bene chiarire subito che una persona che sta vivendo un lutto importante con molto dolore e stress non è né una persona depressa né vittima di un disturbo post-traumatico da stress, come ci capita di spiegare spesso alle persone che si recano presso il nostro studio di psicologia a Melzo e a Novate.
Pur condividendo alcune similitudini, il processo del lutto ha caratteristiche proprie lo differenziano dai due disturbi citati, basti pensare che i normali farmaci antidepressivi non hanno effetto in persone che stanno vivendo un lutto.
Il lutto ha i propri sintomi e risvolti psicologici caratteristici, ma come tutti i sintomi, anche il lutto ha un proprio significato e una propria finalità.
Si tratta di un processo di adattamento alla perdita di una persona con cui abbiamo condiviso la nostra vita o una parte importante di essa (un genitore, un nonno, un figlio, una sorella, il partner…).
Che cosa vuol dire adattarsi alla morte di una persona cara? La morte è un evento che inevitabilmente segna un netto confine tra un “prima” e un “dopo”: occorre quindi accettare la fine irreversibile di un “prima” che non c’è più e un “dopo” che non potrà più essere come immaginato.
Ogni morte comporta dolore, ma sul modo di vivere il lutto incidono l’età e le modalità che portano alla scomparsa di una persona: non si tratta di fare un’inutile e asettica scala del dolore, ma, per esempio, vivere il lutto per una persona molto anziana che muore nel sonno ha caratteristiche diverse dall’esperienza di chi subisce la perdita traumatica (incidente stradale, infarto) di una persona giovane: mi capita di relazionarmi con familiari di donatori d’organi, cioè persone morte sostanzialmente in età giovanile in incidenti stradali, e queste persone vivono lutti più complessi (e a volte impossibili) da elaborare perché devono fare i conti con un’assenza che nelle prime fasi è onnivora e divora tutto.
Il lavoro del lutto dovrebbe portare la persona a integrare nella propria storia una perdita senza senso, per evitare che una perdita senza senso diventi una perdita di senso, altrimenti, il lutto diventerebbe così una storia dominante che imprigiona nelle proprie trame la realtà di chi rimane[1]
Riferimenti bibliografici[2]
BOWLBY, J., Attaccamento e perdita. Vol. 3, Bollati Boringhieri, Torino, 1983.
NEIMEYER R., Lessons of loss: A guide to coping, Brunner Routledge, New York, 2000.
[1] Primo Gelati, comunicazione personale
[2] Un grazie sincero al dott. Primo Gelati, terapeuta familiare e psicologo presso l’hospice dell’ospedale di Legnano, a cui vanno i miei più sentiti e sinceri ringraziamenti per aver messo con passione la propria esperienza a disposizione.