Bambini, genitori e compiti a casa
Quando negli studi di psicologia a Melzo e a Novate ci imbattiamo in famiglie che ci chiedono un intervento per sospetti disturbi specifici dell'apprendimento, uno dei temi più ricorrenti è quello dei compiti a casa, ma in realtà la gestione dei compiti a casa è un tema molto caldo in tante famiglie.
Quando un disturbo dell'apprendimento è presente è più facile che attorno ai compiti si strutturino delle vere e proprie lotte estenuanti, con genitori che disegnano mappe concettuali, ripetono le lezioni, fanno al cartella, sistemano il diario...
Pedagogisti e logopedisti raccomandano di non creare tensioni quando il bambino fa i compiti, evitando critiche che ledano la sua autostima. Allo stesso tempo, suggeriscono di coltivare l'amore per la lettura, insegnare tecniche utili a riconoscere e prevenire gli errori... Ovviamente il tutto andrebbe fatto quotidianamente per poter ottenere dei buoni risultati.
A volte ho l'impressione di avere a che fare con quei concetti che si insegnano nei corsi sulla buona comunicazione, dove si insegna ad essere assertivi (cioè saper dire la propria opinione senza esser aggressivi). Per esempio, ad un marito che assaggia un piatto dal sapore catastrofico nonostante la moglie abbia sperimentato e sudato tutto il giorno in cucina nella speranza di accontentare il coniuge con la nuova ricetta, si consiglia di dire: "vedi cara, apprezzo lo sforzo che hai fatto per me e te ne sono grato.
Il tuo piatto però ha un sapore che non mi piace, meglio se non me lo prepari più, ma ti ringrazio". Solo nei libri che trattano dell'efficacia di questo argomento la serata prosegue amorevolmente.
Chiedere ad un genitore di esser quotidianamente supportivo, caldo, incoraggiante ed entusiasta nel far studiare il proprio figlio con dsa credo sia l'equivalente di questa situazione: è ovvio che sarebbe meglio, ma quanto è possibile?
Nella nostra esperienza clinica, i genitori sono spesso stressati dal dover fare il bis della propria carriera scolastica e di improvvisarsi docenti dei propri figli (spesso in conflitto più o meno palese con l'insegnante effettiva).
Perdere la pazienza è umano, secondo un modo relazionale e connessionista di leggere la realtà, non è la perdita di pazienza che genera una frustrazione dannosa per il bambino.
È importante che il bambino possa sentire di appartenere alla propria famiglia anche se non è un bravo studente.
Quante volte l'essere un bravo bambino a scuola viene utilizzato come informazione conferma per la propria bravura come genitori?
Di che cosa veramente si sta parlando: della riuscita scolastica o del proprio bisogno di riconoscimento? E agli occhi di chi? Dell'altro genitore che poi critica? Dei propri genitori o dei suoceri?
Compiti e relazioni
La questione è molto più complessa, come complesso è il sistema delle relazioni familiari: quel che ci interessa discutere qui ora è che, come per tutte le situazioni, anche i compiti non sono che un'occasione conversazionale nella quale agiscono più significati.
Soprattutto, a noi interessa COME si svolgono i compiti: ci sono madri che incoraggiano, madri che si sostituiscono, madri che svolgono funzioni di puro controllo o di pura docenza... non è nostro compito giudicare e valutare gli atteggiamenti, a noi interessa mettere in luce insieme alle persone i significati che questi comportamenti hanno e gli effetti che agiscono nell'economia del benessere individuale e familiare.
Chiudendo con un'indicazione generale, da un punto di vista relazionale, crediamo sia sano mantenere nella relazione col proprio figlio una buona dose di "tempo inutile", cioè un tempo non strutturato e non finalizzato al raggiungimento di qualsiasi voglia tipo di prestazione.