Il sospetto... quando scoppia il dubbio su casi di abuso negli asili
I temi trattati dal film di Vinterberg
Abuso, pedofilia, tutela dei minori: queste sono le prime parole chiave che verrebbe da associare a questo film danese di Vinterberg (il regista di “Festen”).
Mi colpisce come il titolo italiano (“Il sospetto”) abbia declinato il significato del titolo originale “Jagten”, il cui significato è stato mantenuto nella versione inglese “The Hunt”, cioè la caccia.
Direi che nella differente accezione semantica dei titoli si possono ripercorrere i temi principali del fim.
La trama
La trama è semplice: in un paesino danese immerso in boschi e laghetti, una dimensione totalmente rilassante e bucolica, un maestro d’asilo, persona stimata in paese, viene accusato da una bambina di averla molestata sessualmente. La bambina rivela il fatto alla direttrice dell’asilo che, pensando di affrontare per il meglio la situazione, crea il panico nella piccola comunità e segna l’emarginazione e l’ostracismo del maestro.
La direttrice, per capire che cosa sia accaduto, conduce delle “indagini” personali mirate però a confermare i sospetti anziché comprendere la situazione: il presunto colpevole non viene ascoltato, ma è subito additato come “mostro”. È come se la direttrice cercasse di confermare quanto sospettato per porre fine alla propria tempesta emotiva.
Il pensiero nei e dei bambini
Il film a mio avviso è molto plausibile nel modo in cui rappresenta la psicologia della bambina protagonista del film, sia nel motivo che la porta a “punire” il suo maestro, sia nel modo in cui poi la sua memoria viene suggestionata dalle domande che le persone via via le faranno e nelle reazioni allo stress a cui è sottoposta.
Altra chiave psicologica rappresentata in modo raffinato è la panoramica delle reazioni delle persone al contatto col sospetto dell’abuso, al senso di pericolo, disgusto e paura generati dall’idea e la possibilità evento così devastante
Quando un evento è traumatico, cioè quando accade qualcosa che non riusciamo a comprendere nelle nostre cornici di senso e quindi distorce le nostre normali modalità di reazione, emotivamente siamo in tilt, e cerchiamo di risolvere la nostra emergenza emotiva al più presto: per esempio, la direttrice, anziché ascoltare il presunto sospetto, dichiara che per lei i bambini non possono che essere sinceri, per via del loro “animo”.
Che cosa sta dicendo la direttrice in realtà? Sta dicendo che non è disposta ad accettare che la realtà possa essere più complessa e meno idealizzata di quanto si raffigura: i bambini possono e sanno mentire, e sono competenti relazionalmente, sanno distinguere i propri interlocutori.
In questo senso, il “trauma” della notizia che un proprio dipendente (ma anche amico e insospettabile) sia un abusante, è meno traumatico del pensare che i bambini possono mentire.
Attenzione, in questa cornice di senso, l’elemento traumatico è per la direttrice pensare che mentire equivalga ad essere un mostro, perché incolpa di un fatto gravissimo il maestro a cui la bambina è molto legata (l’insegnante è anche un amico di famiglia): più immediato pensare che il mostro sia l’adulto che non il bambino.
Un fatto di cronaca italiana: l'asilo di Rignano
Credo che si tratti della stessa dinamica accaduta nell’asilo di Rignano: dapprima lo scandalo delle denunce per le presunte violenze, poi l’assoluzione degli imputati. I bambini in questione avevano descritto lo scantinato in cui sarebbero avvenuti gli scempi, ma in realtà non c’era nessuno scantinato nell’edificio in questione:
significa che i bambini dell’asilo hanno voluto mentire collettivamente per accusare le proprie maestre? Pensare una cosa del genere significa fare l’errore della direttrice. In realtà no, non hanno scelto di mentire per incastrare le proprie insegnanti, ma la memoria di un bambino è altamente suggestionabile.
Il fatto che i genitori avessero delle “registrazioni” delle dichiarazioni dei bambini, per esempio, già suggerisce come i bambini siano stati (anche inconsapevolmente) guidati dai propri genitori nelle risposte (ma non perché i genitori siano cattivi, ma perché viene normale porre ai bambini domande come se fossero adulti, non tenendo conto di come le domande influenzino le risposte).
In conclusione, chi vi scrive opera nel settore della Tutela dei Minori, per cui non nascano idee su una tendenza “assolutoria” o negante nei confronti degli episodi di presunte molestie ai danni dei minori.
Il punto è che anche partire in quinta su questi episodi senza analizzare bene le situazioni, possono diventare in realtà una forma di maltrattamento per tutto il meccanismo che poi si genera attorno ai bambini (genitori che li espongono a interrogatori, bambini che vivono sensi di colpa per sentirsi “sbagliati” e non creduti se si sentono ripetere le stesse domande, tanto per citare uno dei più lievi)