Still Alice di Richard Glatzer e Wash Westmoreland
Raramente un titolo riassume l'essenza di un film come in questo caso.
Still Alice, "Ancora Alice", "comunque Alice", "sempre Alice, ... sono traduzioni più semantiche che linguistiche, perché è questo il senso del film: una persona non dovrebbe mai essere identificata con la propria malattia, nemmeno quando quest'ultima è probabilmente "la malattia" per antonomasia rispetto al discorso identitario. Una malattia, il morbo di Alzheimer, che annienta la memoria e le capacità cognitive di chi ne soffre, disorientando completamente i familiari.
Alzheimer: il morbo del lutto ambiguo
Carlos Sluzki, psicoterapeuta sistemico familiare, definisce "lutto ambiguo" la condizione dei familiari dei malati di Alzheimer, perché da una parte si continua a interagire con la persona da sempre conosciuta, ma di cui progressivamente cambia la percezione che si ha di lei e che lei ha di noi, come se quel corpo conosciuto fosse animato da una mente che non (ri)conosciamo e non ci riconosce.
Credo sia proprio questo disorientamento di senso una delle principali caratteristiche delle famiglie in cui il morbo di Alzheimer diventa uno scomodo compagno di viaggio.
Nel film è evidente la volontà della protagonista di combattere in tutti i modi la propria malattia, di cui peraltro è totalmente consapevole e che paradossalmente annulla quanto nella sua vita le ha permesso di costruirsi la propria identità professionale.
La trama del film
La trama, di per sé, è molto semplice da riassumere: ad una 50enne docente universitaria di linguistica viene diagnosticata una rara e precoce forma di Alzheimer. La notizia non coinvolgerà ovviamente solo la protagonista, ma anche tutta la sua famiglia (marito, medico e professore universitario, ed i tre figli).
Anche le dinamiche familiari, malattia a parte, rappresentano uno spunto di riflessione importante per gli appassionati del genere (strepitoso l'intreccio con la famiglia di origine, convocata virtualmente dalla protagonista), ma in questo articolo mi limiterei alle considerazioni già presentate.
Infine, credo che Still Alice, per come affronta l'argomento e lo mette in scena, sia un buon esempio di come il racconto ed il raccontare possano diventare terapeutici: per chi vive certe situazioni, per chi le ha vissute e per chi ascolta.