Anoressia e psicologia
L’anoressia e i disturbi alimentari sono sempre più presenti all’interno del nostro mondo culturale. La psicologia e le varie scuole di pensiero di psicologia e psicoterapia hanno fornito nel corso degli anni molte teorie sull’origine e sulle cause dell’anoressia.
Su Psicologo Melzo e Psicologo Novate proviamo a dare uno sguardo sull’anoressia che risponde al nostro modo di lavorare e di leggere le situazioni.
Il ruolo e il valore del cibo
Quando ci sono disturbi alimentari psicogeni (anoressia, bulimia, obesità), il cibo è diventato uno strumento per gestire il potere all’interno di una relazione: il cibo viene investito di un significato molto più ampio rispetto a quello nutrizionale.
Il cibo è sempre un qualcosa che si arricchisce di significati altri rispetto alla funzione nutrizionale: ogni cultura ha delle ritualità legate al cibo, basti pensare al significato sociale di alcuni pranzi (i rinfreschi per le cerimonie, il valore familiare di alcuni pranzi e delle cene, i riti religiosi legati al cibo e al digiuno, come la comunione o il ramadan) e di come i nostri ritmi siano scanditi dai momenti dei pasti: talvolta preparare certi piatti ha una valenza affettiva specifica che marca la relazione (per esempio, preparare “il piatto preferito”…).
Spesso il cibo è utilizzato anche come un mezzo per tentare di controllare qualcuno o influenzarlo: si pensi ad esempio all’uso dello sciopero della fame, come forma di protesta.
Cibo e relazioni
Quando si parla di cibo, si parla inevitabilmente anche delle relazioni che si creano nel proprio contesto attorno al tema del cibo.
Facciamo un esempio, seppur banale: i bambini solitamente non amano le verdure e a casa non le mangiano. Può però capitare che iniziando a frequentare la scuola materna e la mensa, i bambini imparino a mangiare la verdura, e quando le madri vengono a conoscenza di questa mutata abitudine alimentare possono reagire dicendo “beh, almeno all’asilo le mangi”, ma potrebbero anche dire “ma come, allora è solo con me che non le vuoi mangiare?... Sono io che non vado bene?”
Spesso, in una famiglia in cui la ragazza soffre di anoressia, i genitori si rivolgono allo psicologo perché parlano di un problema tra la ragazza ed il cibo, non riescono più a gestire i comportamenti difficili che la ragazza agisce durante i pasti: li rifiuta, non mangia, vomita…
In molti casi si assiste a veri e propri braccio di ferro tra la ragazza che non vuole mangiare e i genitori che la obbligano. In realtà, sebbene i genitori se ne siano accorti solo in questa fase, la ragazza aveva da tempo modificato il proprio comportamento ed atteggiamento verso il cibo.
Il sintomo è solo un segnale di come la comunicazione non stia funzionando, motivo per cui l’intervento non è solo sulla ragazza, la soluzione non è solo dare una dieta corretta da far rispettare.
Nei disturbi alimentari psicogeni, il cibo è un’occasione conversazionale: dal nostro punto di vista, come psicologi e psicoterapeuti sistemico-relazionali, lavorare con le famiglie non significa ricercare colpe e colpevoli, ma comprendere quali significati si sono costruiti intorno al tema del cibo, del mangiare e dell’alimentazione.
Spesso in queste famiglie i processi conversazionali sono caratterizzati dal tema del controllo e del potere. Rifiutare il cibo non è controllare tanto il cibo, quanto chi me lo sta dando.
Il cibo non è che lo strumento attraverso cui si agiscono e potere, perché è quanto abbiamo a disposizione fin dal primo giorno di vita.
Vedremo, in un altro articolo su Psicologo Melzo e Psicologo Novate, come l’anoressia non sia più solo una psicopatologia tipicamente femminile, ma, sebbene con forme diverse, colpisca anche il genere maschile.