Uno dei temi di attualità con cui gli psicologi e psicoterapeuti di Psicologo Melzo e Novate vogliono confrontarsi è l'ondata di notizie a cui in questi ultimi mesi i mass media stanno dando ampio risalto e riguardante le “vittime della crisi”, vale a dire gli imprenditori che si suicidano per colpa della crisi economica.
Tali drammi sono talmente amplificati soprattutto da alcuni programmi di approfondimento che anche i vertici del governo hanno iniziato a rimbalzarsi accuse e scaricarsi colpe rispetto alla responsabilità di questi gesti.
Gli effetti della crisi sono ovviamente ben visibili ai nostri occhi e alle nostre tasche, ma ci sembra doveroso cercare di non innescare un processo di causa-effetto tra la crisi e il gesto del suicidio.
A nostro avviso, considerare il suicidio come risposta ad un singolo evento esterno, per quanto questo possa essere drammatico, è tanto errato quanto pericoloso:
Sposare infatti questa teoria sarebbe una clamorosa involuzione nella capacità di provare a capire i comportamenti umani, la cui comprensione si baserebbe su una logica lineare semplicistica, la stessa che ha portato alla nascita di diversi pregiudizi che hanno riscosso in passato una certa popolarità sia nel pensiero psicologico che in quello comune (“i tossicodipendenti non hanno avuto una figura paterna”, “la schizofrenia è colpa del legame madre-figlio”…).
Non è il dato di realtà a determinare le nostre risposte, ma il modo in cui noi percepiamo e attribuiamo significato alla realtà a determinare i nostri comportamenti: proprio per questo motivo, ognuno di noi risponde in modo diverso dalle altre persone davanti ad una stessa situazione: non tutti reagiamo allo stesso modo quando subiamo un torto, quando riceviamo una bella notizia o ci capita un evento molto negativo.
Ovviamente, con questo non vogliamo dire che alcune condizioni, eventi o situazioni drammatiche non incidano sulle probabilità che una persona possa compiere un gesto estremo, ma è l’elaborazione personale della realtà che può portare ad una scelta suicida, tanto è vero che, altri imprenditori falliti trovano il modo di continuare, di re-inventarsi, o, “semplicemente”, scelgono di vivere, ma si tratta di storie che vengono meno “pubblicizzate” dai mass media.
Soprattutto negli ultimissimi mesi ci sembra di aver notato come in certe trasmissioni televisive, la scelta del suicidio passasse come un gesto nobile o come unica possibilità rimasta di fronte al fallimento.
Presentare la cronaca in questo modo genera a nostro avviso anche un pericoloso “effetto emulazione”, cioè quell’aumentare di episodi di cronaca analoghi a notizie che trovano un ampio risalto in uno specifico periodo: se ci pensate, è quanto successo con il lancio dei sassi dai cavalcavia, il suicidio dei ragazzi che vanno male a scuola o che scappano di casa, tanto per citare alcuni esempi di drammi “andati di moda” in un certo preciso periodo.
Non vorremmo però che, al termine di questo articolo, si possa avere l’impressione che a nostro avviso un fallimento economico non rappresenti una tragedia per chi ne è vittima (o anche artefice): le statistiche raccontano che i problemi economici sono al terzo posto tra le cause di suicidio (a onor del vero, occorre riferire anche che i dati Istat riferiscono che i decessi per “fallimenti” in questi mesi del 2012 sono inferiori di quelli registrati negli ultimi due anni).
Proprio per quanto detto in precedenza, riteniamo sia complicato poter stabilire una sola causa che porti al suicidio, però possiamo riconoscer quali sono gli elementi psicologici che vi stanno alla base: l’emozione prevalente che affligge le persone che vivono un fallimento economico è la disperazione, che spinge la persona a voler scomparire, a “togliere il disturbo”.
Per altre persone, il senso di fallimento diviene così insopportabile e insostenibile al punto di sentirsi non più degni di esistere, ed è una caratteristica che non interessa solo il fallimento economico, ma anche quando l’onta di una perdita d’onore o di rispettabilità colpiscono la reputazione di un individuo. Altre volte, al di là del giudizio etico e morale che ognuno può avere a riguardo, la persona vede nel suicidio l’unica via di uscita da una situazione generatrice di un dolore diventato insostenibile.