Il tema del suicidio in adolescenza: riflessioni e spunti di Tredici
“13 reasonswhy”, in italiano diffusa come “Tredici”, è una serie TV in onda su Netflix: la serie si ispira al romanzo “13” di Jay Asher ed è realizzata in 13 episodi. La trama è di per sé è molto semplice ed è esplicitata fin dall’inizio della serie: una ragazza, Hannah Baker, prima di suicidarsi incide su 7 cassette i 13 motivi che l’hanno spinta a compiere il proprio gesto estremo.
Ogni motivo occupa l’intero lato di una musicassetta (ne avanza uno, ma non dirò qui come verrà utilizzato), e tutti sono “dedicati” individualmente ad ognuna delle tredici persone che la ragazza ritiene in qualche modo responsabili nell’averla spinta verso il suicidio.
Solo queste persone, grazie ad un amico di Hannah che agisce da messaggero, entrano in possesso a turno di tutte le cassette.
Il personaggio che nella serie ascolta le cassette è uno degli amici più intimi di Hannah, che tramite i suoi racconti scoprirà diversi episodi a lui ignoti e acquisirà un punto di vista diverso su alcune vicende accadute all’amica.
Adolescenza, bullismo, violenza sessuale, disagio giovanile, omosessualità
Suicidio e Adolescenza rappresentano i confini entro cui vengono affrontate tematiche delicate quali bullismo e cyberbullismo, la violenza sessuale, l’omosessualità, il disagio giovanile e questioni identitarie. Molti dei commenti positivi della critica derivano proprio per la capacità della Serie di trattare questi argomenti, evidenziando quanto per gli adolescenti siano fondamentali dinamiche di gruppo e quanto possano essere devastanti alcune goliardate amplificate poi dalla diffusione in rete di foto o messaggi, o quanto possano incidere sulla reputazione di una persona alcune battute o scherzi: questioni che agli adulti possono apparire più banali (come l’essere reputata la ragazza col sedere migliore della scuola o essere costantemente presi di mira per una caratteristica personale) diventano centrali nella vita emotiva e relazionale di ragazzi e ragazze.
Nella serie vengono ben evidenziati i risvolti psicologici dei ragazzi che soffrono per questioni legate al gruppo dei coetanei, non solo nella protagonista, ma in molti degli altri ragazzi che assumono un ruolo primario.
Diversamente, a rappresentare un aspetto molto criticato di Tredici è l’aver fornito una rappresentazione del suicidio molto romanticizzato: in primis, tutta la serie è giocata sulla capacità di Hannah di influenzare profondamente le vite degli amici ritenuti “colpevoli” dei suoi malesseri, fino a sconvolgerne l’esistenza.
Se l’espediente funziona dal punto di vista televisivo, creando una sorta di suspense negli spettatori, da un punto di vista psicologico è pericoloso perché collude proprio con una delle fantasie più ricorrenti in chi intende suicidarsi, ovvero immaginare gli effetti che tale gesto avrà sulle altre persone (il suicidio è spesso un atto aggressivo verso gli altri, oltre che ovviamente nei propri confronti). Il rischio è quindi quello di rafforzare alcune fantasie suicidarie negli adolescenti, che, anche in fantasie suicidarie (cioè pensieri anche comuni in quella fascia di età che non esitano poi né in tentativi concreti né in quadri di umore o instabilità psicopatologici) si immaginano il proprio post mortem come caratterizzato dall’influenza che il proprio gesto agirà su familiari, amici e conoscenti.
Le scelte operate dalla regia della serie Tredici hanno l’effetto di rendere Hannah totalmente viva durante le puntate, giocando nell’alternanza di sequenze tra presente e flashback (con un interessante cambio di giochi di luce come elemento che aiuti a contestualizzare le scene): un aspetto della critica è volto proprio a questa scelta di fornire un’immagine della ragazza suicida come molto viva e presente, in quanto potrebbe alimentare fantasie di illusione di sopravvivere alla propria morte, come una presenza da dietro le quinte, come deus ex machina con aspetti quasi onnipotenti nel condizionare la vita di chi resta.
Altre visioni...
La letteratura è ricca di opere nei quali il suicidio è vissuto come unico gesto possibile (si pensi a “Giulietta e Romeo”, per dirne una), ed altri dove però la scelta del suicidio è abbandonata. Nella canzone “Meraviglioso” di Modugno, ripresa anche dai Negramaro, l’intervento salvifico matura grazie al far notare alla persona che sta per buttarsi dal ponte quante meraviglie siano presenti nel mondo. In realtà, per chi si trova in uno stato di disperazione e depressione così elevato, proprio il notare che il mondo e la vita abbiano tante meraviglie aumenta la negatività del proprio umore, perché ci si sente ancora più indegni ed esclusi dalle bellezze e positività del mondo e della vita.
In un vecchio, famoso e ottimo film di Frank Capra (girato nel 1946) La vita è meravigliosa (It's a Wonderful Life) la visione del suicidio è molto più stigmatizzata negativamente, al punto che il protagonista, anch'egli vessato dalla vita, dalle persone e da tante situazioni avverse, riesce a cambiare idea all'ultimo istante. Il cambiamento è favorito dall'intervento di un angelo che mostra a George, il protagonista, come sarebbe diverso ora il mondo se non fosse mai nato, scoprendo quanto delle persone a lui care sarebbero in condizioni molto negative e critiche (o addirittura non più in vita). Tale esperienza rende il protagonista consapevole di quanto di positivo ha fatto, mentre in “Tredici”è proprio grazie al suicidio che si verificano cambiamenti importanti, in parte positivi, altri altrettanto letali.
...e una visione più complessa
L’intento di questo articolo non è aggiungere un punto ad una delle due posizioni (pro o contro) la serie Tredici, ma provare a rendere più complessa la questione. Per esempio, nelle recensioni, quasi mai si parla del ruolo degli adulti.
Quanto gli adulti hanno un ruolo nel prevenire e affrontare il disagio giovanile ponendosi in modo tutelante? Nella serie TV è esplicitamente additato il counselor della scuola, reo (a detta di Hannah) di non aver colto il proprio malessere. Stessa sorte, sebbene in modo molto più implicito, tocca all’insegnante di classe, che non ha colto in una lettera anonima della ragazza lo stato di profondo malessere emotivo che la caratterizzava.
E la famiglia? La famiglia di Hannah è composta dai due genitori, la ragazza è figlia unica e non sono mai nominati altri parenti: i genitori sono presenti nella vita della ragazza, non c’è un motivo particolare per cui possano esser ritenuti trascuranti o disattenti: si coglie il loro amore ed interesse per la figlia. Forse Hannah è molto coinvolta dalle argomentazioni economiche (e pesa una sua distrazione in tutto questo), forse la madre non coglie nelle domande della figlia sul poter andare alla festa una preoccupazione di Hannah per questo evento, ma non sono certo due genitori che possono essere ritenuti trascuranti. Eppure, che cosa non ha permesso a Hannah di confidarsi con loro? Non voleva essere un'ulteriore preoccupazione? Sentiva già il peso della responsabilità (sempre in ottica economica) rispetto al corso di studi e le condizioni del negozio, o di viver male nel paese in cui si erano trasferiti anche (a detta dei genitori) proprio per lei?
Hannah non è poi una ragazza in cui il malessere è visibile e manifesto: non appare mai socialmente e visibilmente in estrema difficoltà, le sue manifestazioni di disagio sono assolutamente percepibili come "normali". Solo chi, come il protagonista, ha un rapporto più intimo con lei può coglierne alcune sfumature, ma anche la scelta della regia è di presentare una ragazza sempre "normale" e non visibilimente sofferente agli occhi degli altri.
Credo sia importante questa scelta per sottolineare come non sempre la sofferenza interna è espressa in modo nitido, e sta nella professionalità delle figure che hanno una relazione di aiuto, educativa e genitoriale cogliere i segnali e poterne parlare.