Su Psicologo Melzo e Psicologo Novate ci siamo occupati dei vari aspetti dei DSA (disturbi specifici dell'apprendimento), sempre più comuni e fonte di preoccupazione per molti bambini, ragazzi e le loro famiglie.
Dislessia, discalculia... sono problemi che emergono molto nei racconti delle persone che incontriamo nei nostri studi di Psicologo Melzo e Psicologo Novate, anche quando la richiesta di intervento è dovuta da altre difficoltà.
Molto spesso la dislessia, tanto per citare il dsa più conosciuto, viene anche assunta dai genitori come causa di difficoltà comportamenteli in età adolescenziale
Una recente ricerca dell'istituto Wartegg di Roma e dell'Università di Padova ha rilevato che nell'80% dei bambini con diagnosi di dislessia ci sarebbe un'ansia da separazione dai genitori.Da questa ricerca pare essere emersa l'importanza dei vissuti emotivi e affettivi nei processi cognitivi,come
testimoniano anche le percentuali di bambini con diagnosi di DSA che soffrono di ansia da prestazione o altre situazioni d'ansia.
La ricerca è completata da un altro risultato, secondo il quale quasi un genitore su due del campione ha avuto a sua volta problemi di ansia e attaccamento nei confronti del proprio genitore... il circolo vizioso si completa quindi con un senso di scarsa efficacia personale da parte del genitore nell'esercitare il proprio ruolo di padre e madre, il che genera, appunto, i disturbi affettivi nel bambino che diventa anche dislessico.
Vorremmo commentare, dal nostro punto di vista sistemico-relazionale, questi risultati: da una parte non ci sembra una novità scoprire che aspetti cognitivi e razionali siano strettamente connessi all'emotività, dall'altra vorremmo evitare di cadere in tranelli diagnostici
Ma andiamo con ordine:
il rapporto tra emozioni e aspetti cognitivi
- I disturbi specifici dell'apprendimento sono studiati e diagnosticati all'interno di una teoria gerarchica dell'intelligenza, che, per dirla in breve, spiega l'intelligenza come la capacità della mente di integrare e coordinare un insieme di funzioni (memoria, apprendimento, linguaggio, pensiero, percezione...) per adattarsi alle richieste ambientali. Esistono varie forma di intelligenza (logica, spaziale, motoria, musicale...) che possono essere rappresentata in una struttura gerarchica (pensate allo schema della società medioevale: re-vassalli-valvassori-valvassini), dal più semplice (ultimi gradini di valore) al più importante e complesso.
- Nel caso della dislessia, vi sarebbe il disturbo di una componente molto specifica, quella della lettura, che non compromette funzioni più complesse, come quella della comprensione (da qui l'uso dei famosi strumenti compensativi).
Si tratta sicuramente di una teoria utile per comprender il funzionamento della mente, ma si fonda sua visione della mente come totalmente individuale e che privilegia gli aspetti logico deduttivi.
Nella nostra visione sistemica, la mente è invece si costruisce nella relazione con gli altri, dove necessariamente giocano un ruolo fondamentale anche le emozioni e le attribuzioni di significato. Non crediamo si tratti di una struttura gerarchica, ma una struttura in cui tutti gli elementi sono interconnessi simultaneamente
La dott.ssa Miriam Gandolfi Martinelli, psicologa e psicoterapeuta esperta di psicologia infantile, utilizza questa metafora per spiegare la mente da questo punto di vista: la mente è come una torta; nella sua preparazione occorre prendere e dosare tutti gli ingredienti (le diverse componenti dell'intelligenza), ma una volta preparata la torta, non è più possibile tornare a scomporre gli ingredienti nella loro forma iniziale. Il tutto è un qualcosa di diverso dalle singole parti che lo compongono.
Tornando ai nostri disturbi dell'apprendimento, è dal nostro punto di vista naturale che essi si accompagnino a delle difficoltà di ordine emotivo. Quello che qui ci preme sottolineare non è tanto la nostra idea sull'origine della dislessia e dei disturbi specifici dell'apprendimento (dedicheremo un apposito articolo), ma sul ruolo delle emozioni.
Il ruolo delle emozioni
Non stiamo confutando i risultati delle ricerche citate, stiamo cercando di fornire uno sguardo più complesso e meno pregiudizievole per i bambini e le loro famiglie: è giusto dire che l'ansia sia alla base dei disturbi specifici dell'apprendimento? Come si fa a pensare che un bambino con diagnosi di dislessia non abbia dei vissuti ansiosi o delle frustrazioni legate a certi aspetti prestazionali in ambito scolastico?
In questo può esser importante il modo in cui tutto l'iter diagnostico e scolastico è vissuto dalla famiglia, da come si sente il bambino rispetto a questa sua difficoltà (viene visto come il "poverino" che non ce la fa da qualcuno in casa?) e come essa viene gestita in ambito familiare: spesso, nella nostra esperienza, in casi di disturbi specifici dell'apprendimento si assiste a vere e proprie guerre quotidiane in cui un genitore lotta col figlio per fare i compiti, leggergli e ripetergli la lezione, provarla...
Il deuteroapprendimento: parola difficile, ma concetto importante
Quello che vorremmo sottolineare è l'importanza di un concetto, dal nome difficile, ma dalla spiegazione facile: DEUTEROAPPRENDIMENTO. Questo concetto elaborato da uno dei più brillanti scienziati di sempre (Gregory Bateson)ci insegna che mentre noi impariamo un qualcosa, impariamo anche il modo con cui la stiamo imparando.
Tradotto: un bambino non solo impara la lezione che quotidianamente la madre si spreme per fargli capire e studiare, ma, contemporaneamente, imparerà anche che per apprendere avrà sempre bisogno di un qualcuno che lo aiuti.
Siamo stati molto semplicistici, e quindi anche superficiali per evitare tecnicismi, nel tentativo di spiegare concetti e situazioni molto complesse perché con questo articolo (ma chi ci segue sa che è una nostra prerogativa come studio di Psicologo Melzo), vorremmo sottolineare l'importanza che ha la relazione anche nei casi di DSA, e come un intervento per un DSA non possa prescindere anche da un intervento relazionale.
In caso opposto, il rischio è di imbattersi in un trattamento con effetti paradossali: ci si impegna tantissimo, in termini di tempo ed economici, per aiutare il proprio figlio ad essere autonomo, ma con una metodologia che avrà come effetto il risultato di renderlo ancora più dipendente dall'intervento di qualcuno di esterno (e questo spiega perché poi, molti adolescenti diventano ancora più ribelli in questa età dove l'aiuto dei genitori e degli adulti è percepito come un freno alla propria voglia di autonomia).