genitori Figli: chi dipende da chi?

In qualità di psicologo collaboro con AGPD (Associazione Genitori e Persone con la Sindrome di Down). Recentemente, ad un incontro organizzato per gli associati adulti e i loro genitori sul tema dell'autonomia e della residenzialità per le persone con Sindrome di Down, il dibattito si era polarizzato tra i propositi e i progetti degli operatori e le preoccupazioni e le ansie dei genitori rispetto al futuro dei loro figli.

È stato Federico, un ragazzo poco più che ventenne con la sindrome di Down, a porre fine alla serata con un intervento emblematico: "a me sembra che siamo noi figli a far diventare autonomi i nostri genitori". Applausi dell'intera platea e serata chiusa per manifesta superiorità dell'intervento.

La disabilità non è una condizione che stravolge o falsifica le caratteristiche relazionali della famiglia e della società, casomai ne amplifica alcune caratteristiche. L'intervento di Federico è prezioso anche per leggere e comprendere dinamiche familiari in contesti privi di disabilità.

Infatti, se è vero che molti stereotipi vedono i figli italiani come "mammoni" (o "bamboccioni", come un politico ha sentenziato pochi anni fa) e le mamme italiane come "super chiocce", in un'ottica sistemica pare interessante chiedersi come la dipendenza si mantenga anche quando i figli non ne abbiano più bisogno per sopravvivere. Anzi, ad un certo punto sembrano i genitori a dover dipendere dai figli.

Sembra paradossale un'affermazione di questo genere quando, per la prima volta dal secondo dopoguerra, la generazione dei giovani adulti (e meno giovani adulti) è ancora legata agli aiuti economici dei propri genitori. Ma non stiamo parlando di dipendenza economica.

È possibile ipotizzare che un genitore dipenda affettivamente dal figlio nel momento in cui lo investe dei propri bisogni e delle proprie aspettative, pur essendo queste diverse o talvolta opposte a quelle del figlio.

L'esempio più comune è offerto dalla riuscita scolastica o sportiva: i genitori si adoperano e preoccupano affinchè il figlio riesca in questi ambiti, proteggendolo da eventuali distrazioni... le quali possono essere sia uscite con gli amici, ma sia anche la possibilità di fare scelte diverse (in un contesto in cui diverso significa sbagliato).

Si presti attenzione come questa situazione possa essere valida sia per i genitori di un bambino di pochi anni che viene trapiantato subito in piscina o in palestra "perché deve diventare un campione", o di un figlio di 13 anni che non può che scegliere il liceo perché poi deve andare in università (o non può che scegliere meccanica per poi lavorare nell'officina di famiglia,o la scuola alberghiera per poi ereditare il ristorante di famiglia).

Quello che per i genitori è visto come un tentativo di proteggere i figli, diventa anche un ostacolo alla loro libera espressione,ma soprattutto può crearsi una sorta di dipendenza affettiva da parte del figlio, dovuta al fatto che il figlio, fin da bambino, si sarà fatto l'idea che per appartenere alla propria famiglia non può essere diverso da quello che mamma e papà vogliono.

Trasportato nell'età adulta, questa dinamica (che comunque ha radici e sviluppi che si differenziano da famiglia a famiglia, non si tratta assolutamente di una diagnosi!) appare evidente nell'estrema difficoltà (spesso impossibilità) di persone adulte nell'accettare o rifiutare inviti o coinvolgimenti da parte del sistema familiare di origine (e poi,più estesamente, nei confronti del mondo intero) senza sentirsi in colpa o in dovere.

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