Schettino, la Costa Concordia e i soccorritori dell'isola del Giglio: per evitare un naufragio psicologico.
Abbiamo tutti sotto gli occhi le immagini della nave da crociera Costa Concordia adagiata su un fianco, come un gigante morente, nei pressi dell’isola del Giglio. Come psicoterapeuti del sisto Psicologo Melzo, vorremmo dare un nostro punto di vista sui risvolti psicologici della tragedia. In questi giorni i mass media ne parlano dedicando alla vicenda anche intere puntate di programmi di cronaca e approfondimenti.
L’interesse è elevato nelle persone comuni, e vi è anche un notevole coinvolgimento emotivo nell’assistere alle immagini e, soprattutto, alle testimonianze dei diretti protagonisti con gli occhi lucidi mentre rivivono e raccontano quei momenti drammatici, mentre si sentivano in trappola, col terrore della morte, l’angoscia per i propri cari presenti sulla nave e poi, una volta arrivati a terra, il rendersi conto di quanto della propria vita e dei propri affetti è affondato insieme a quella nave che da magica è diventata tragica.
Se i passeggeri sono i protagonisti di questo episodio, il comandante Schettino ha interpretato il ruolo di antagonista, del “cattivo” della storia, il capro espiatorio, ...la sua telefonata con Gregorio De Falco della capitaneria di porto di Livorno è subito balzata al top dei video più cliccati su youtube e sui social network.
È chiaro che emotivamente, se da un lato sia i passeggeri che il comandante siano accomunati dal rischio di esser esposti ad un
disturbo post traumatico da stress (l’insieme della sintomatologia tipica che insorge in seguito all’esposizione ad un evento traumatico estremo), dall’altro i vissuti emotivi sono profondamente diversi per via del ruolo delle responsabilità.
Non conoscendo praticamente nulla di questa persona, non posso nè azzardare interpretazioni nè formulare giudizi, ma da quanto ascoltato grazie alla pubblicazione della famosa telefonata, il comandante Schettino sembrava assolutamente in piena fase di “negazione”, come se non fosse pienamente consapevole di quanto stesse succedendo e del suo ruolo.
Detto in termini poco psicologici ma perfettamente comprensibili, può esser che fosse già andato in tilt, e da un bel pò’. Non è raro infatti che lo shock della responsabilità per quanto fatto possa aver portato ad una sorta di negazione, ma anche di distacco e indifferenza verso gli altri.
In questo breve contributo volevo però soffermarmi sull’altra faccia della medaglia, ovvero su quelli che sono stati gli eroi di quelle concitate fasi: gli abitanti dell’isola del Giglio e i soccorritori del primo momento, che mai si erano trovati innanzi ad un incidente navale di quelle dimensioni e con quelle dinamiche (l’inclinazione a 90° della nave).
Le persone che si sono trovate coinvolte nelle operazioni di soccorso si sono esposte in prima persona al rischio di andare incontro ad importanti disturbi psicosomatici, momentanei o permanenti, che insorgono a causa dell’elevata esposizione ai cosiddetti “mediatori di stress”, quali il contatto visivo e/o fisico con i cadaveri e la relazione con i “sopravvissuti” ed il loro shock (penso soprattutto ai cittadini dell’isola che hanno ospitato i naufraghi e che sono stati i primi con cui i superstiti sono entrati in relazione).
Ma quali sono i rischi psicologici per i soccorritori?
Essi sono legati ai fattori di rischio oggettivi della situazione, come la presenza di più morti o dispersi, la necessità di agire tempestivamente in ambiente proibitivo (l’oscurità della notte, l’instabilità della nave, il mancato recupero di tutti i passeggeri, l’incertezza della situazione).
Accanto a questi elementi, vi sono ovviamente le caratteristiche psicologiche proprie di ogni persona (il diverso grado di identificazione con le vittime, la presenza di traumi passati non elaborati -quanti incidenti legati al mare possono aver toccato le storie personale degli isolani?-, la mancanza di strategie per fronteggiare la situazione).
I soccorritori, sia professionisti che improvvisati, sebbene abbiano vissuto l’episodio in una condizione fortemente diversa da quella dei passeggeri (o dei “responsabili” di comando), condividono con loro molti rischi di andare incontro ai disturbi psicologici e psicosomatici che seguono una catastrofe:
intensi sentimenti di paura, orrore e di impotenza, il continuo rivivere l’evento traumatico (anche attraverso sogni e ricordi spiacevoli), comportamenti di evitamento e incapacità di ricordare l’esperienza vissuta.
Ma i soccorritori vanno più frequentemente incontro a quelli che sono detti Disturbi dell’Adattamento, che se da una parte sono meno gravi sul piano psicologico, dall’altro possono rivelarsi ancora più insidiosi perché possono essere facilmente nascosti e camuffati, non essere pienamente compresi dagli operatori stessi, che trascurando i primi segni di disagio aggravano i problemi presenti. Alcuni sintomi tipici posson essere la difficoltà, una volta finita l’emergenza, a rilassarsi.
Questo perché i ritmi delle ricerca dei dispersi e la lotta contro il tempo prima che la situazione della nave sia troppo pericolosa, può portare nei prossimi giorni ad avere importanti difficoltà a rilassarsi, a causa dello stato di iperattivazione costante a cui sono sottoposti.
Nei casi più gravi si può arrivare all’abuso di sostanze, quali tabacco, alcol, farmaci, nel tentativo di riuscire a rilassarsi o per gli ingiustificati ma presenti sensi di colpa nei confronti dell’accaduto.
Per questo motivo mi auguro che, una volta spenti i riflettori sull’isola del Giglio, mentre tutti i superstiti potranno continuare ad esser assistiti nelle loro case, i soccorritori e gli isolani non vengano abbandonati da questo punto di vista, altrimenti si rischierebbe di avere un altro naufragio, questa volta di tipo psicologico.