disabilità e malattia cronica

Intervento psicologico familiare  in casi di disabilità e malattia cronica

Fattore fisico o psicologico?

Anche quando la malattia è a base organica, o anche quando una disabilità è genetica, o ereditaria... pur essendo esclusivamente a base fisica, sono un importante fatto psicologico

Per due motivi:

  1. non avendo possibilità di essere risolte, la disabilità e la malattia cronica diventano parte stabile della persona, al punto che nel linguaggio comune (ma non in ottica sistemica) si dice "è diabetico" oppure "è cardiopatico" o "è paralizzato", "è un Down".
  2. Secondariamente, la malattia o la disabilità spesso diventano nella famiglia il tema  più saliente attorno alla quale si ristrutturano le dinamiche relazionali della famiglia, coinvolgendo molto spesso anche i nonni.

I pregiudizi sull'intervento psicologico in casi di disabilità

Spesso vi è il pregiudizio che il lavoro dello psicologo con le persone e le famiglie in cui vi siano una malattia cronica o una disabilità ereditaria o genetica, sia inutile o al limite di contenimento del dolore, una specie di antidolorifico mentale.Tale pregiudizio nasce dall'idea che essendo la causa organica, un intervento psicologico non può portare a benefici.

Altre volte l'intervento psicologico è malvisto perché visto come implicita accusa di patologia familiare dovuta alla presenza di un figlio disabile.

 Siamo perfettamente d'accordo su questo: la nascita di un figlio disabile non è una patologia, ma potrebbe costituisce un fattore di rischio importante per via delle dinamiche relazionali che spesso si sviluppano attorno ad una disabilità genetica.

Teniamo a precisare che la nascita di un figlio disabile non crea dinamiche disfunzionali, ma casomai amplifica delle caratteristiche già presenti nel sistema famiglia.

L'utilità di un intervento psicologico in casi di disabilità o malattia cronica

Per questo motivo, da un punto di vista della psicologia e della psicoterapia sistemico-relazionale, è possibile lavorare con la famiglia, per favorirne una migliore qualità di vita, focalizzando l'attenzione su due grosse tematiche che possono incidere anche nel più ampio contesto del rapporto tra la famiglia e chi si prende cura della persona con la sindrome.

  1. comprendere di quali attribuzioni di significato viene investita la malattia o la disabilità dal sistema familiare: ad esempio, se alla sindrome di Down i significati associati sono di "invalido", e quindi per sempre incapace di vivere in autonomia, oppure "irrecuperabile, cioè diviene inutile fare qualsiasi cosa... ben si capisce come questo influisca sull'atteggiamento della famiglia nei confronti del figlio con la sindrome e verso gli operatori che vi si relazionano.
  2. comprendere come si sono strutturate le relazioni attorno alla persona malata o disabile. Ad esempio:
  • c'è qualcuno che viene designato come colui/colei che dovrà prendersi cura in modo totale del bambino con la sindrome?
  • Si è scatenata una sorta di gara tra chi è il più bravo a prendersi cura del bambino?
  • Si scatenano "attribuzioni di colpe" rispetto alla sindrome (pur essendo irrazionale e non scientifica, capita talvolta che si viva la sindrome come una colpa o che sia stato fatto qualcosa per meritarla, o che siano pensate o dette frasi come "sapevo che non doveva sposarsi con lui/lei...")

C'è poi, molto spesso, tutta la tematica relativa ai fratelli, al loro ruolo, a cui abbiamo già dedicato qualche articolo su Psicologo Melzo e Psicologo Novate, ma a cui daremo altro spazio in futuro.

L'utilità di lavorare con le famiglie di persone con la Sindrome di Down da un punto di vista psicologico quindi ha l'obiettivo di facilitare lo sviluppo delle risorse e sciogliere alcune possibili difficoltà relazionali (che la disabilità, per le sue caratteristiche, amplifica) e rendere possibile un funzionamento familiare utile al benessere di tutti i membri, basato su un sotto-sistema genitoriale ben definito (dove non sono i nonni i veri genitori del bambino) che può godere dei propri momenti di autonomia, e di un sotto-sistema figli, educati all'autonomia e per i quali l'uscita dalla famiglia sia una storia permessa (quanti fratelli invece sentono che per loro è proibito lasciare veramente il nido per dover star accanto al fratello disabile?)

Effetti del trattamento familiare sul percorso riabilitativo e abilitativo della persona son disabilità o malattia:

Comprendere e lavorare su questi aspetti permette anche una migliore cura della persona disabile o malata, rimuovendo alcune delle più comuni difficoltà che si riscontrano nella relazione con gli operatori che lavorano, ad esempio, con il bambino con la sindrome di Down:

  • quanto il bambino (o il ragazzo e poi l'adulto) non riesce nelle attività o stia semplicemente sfruttando la propria condizione?
  • Il lavoro col bambino è complicato dal fatto che i genitori sono iperprotettivi
  • Un genitore o altri familiari non accettano la diagnosi e negano le difficoltà (o le amplificano).

È importante riuscire a lavorare sulle relazioni e permettere la buona riuscita degli interventi riabilitativi (o, più correttamente, abilitativi) perché l'obiettivo è che ogni intervento, nei confronti della persona con la sindrome di Down, sia esso medico o pedagogico, possa essere un'occasione di cambiamento, non solo per la persona stessa, ma per tutta la famiglia (Gandolfi, Martinelli, 1985)

Approfondimenti:

  • Gandolfi, M. (1986) Malattie su base genetica: possibili giochi familiari. In Gandolfi, M.., Martinelli F. (a cura di) Lo svilupo delle tecniche di spicoterapia e di consulenza nell'ottica sistemica. Verona: Unicopli
  • Gandolfi, M. (1986) L'intervento familiare in famiglie con portatore di handicap: una ricerca. In Gandolfi, M.., Martinelli F. (a cura di) Lo svilupo delle tecniche di spicoterapia e di consulenza nell'ottica sistemica. Verona: Unicopli
  • Gandolfi, M., Martinelli, F. (1985). La terapia della famiglia come sostegno al cambiamento indotto dalla terapia fisica. In AA.VV., Le prospettive relazionali nelle istituzioni e nei servizi territoriali.)

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