room

ovvero: come il linguaggio costruisce la realtà e come pensano i bambini

Piccolo accenno (innocuo) alla trama

Room è un film del 2015 del regista Lenny Abrahamson.(che trasportato in versione cinematografica il romanzo del 2010 di Emma Donoghue, a sua volta ispirata da un caso di cronaca).
Il film inizia durante il giorno del quinto compleanno di un bambino che fin dalla nascita è segregato in una stanza insieme alla madre ventiquattrenne, rapita sette anni prima da uno sconosciuto (chiamato dalla ragazza “Old Nick”, in inglese uno dei modi in cui ci si riferisce al diavolo) che oltre che a tenerla prigioniera abusa regolarmente di lei ... ed è quindi il padre biologico del bambino.
Il piccolo non sa niente di tutta questa storia: fin dalla nascita, per proteggerlo dalla dura realtà, la madre gli ha sempre fatto credere che il mondo reale è solo la loro stanza, raccontandogli storie e versioni che rendessero plausibile questa verità anche al confronto con le immagini del televisore (le persone che si vedono sono finte, perché piatte e piccole), con la presenza di Old Nick (che porta cibo dentro “Stanza”, ma da cui il piccolo si deve nascondere chiudendosi nell’armadio) e altre situazioni.
Il film prosegue mostrando l’escamotage con cui la madre riesce a liberare prima il figlio e poi se stessa e la fase di ritorno alla vita “normale”.

Qualche lettura psicologica sul film "Room"

Da un punto di vista psicologico il film è molto interessante per vari aspetti:

L'importanza del linguaggio

è un ottimo esempio di che cosa si intende dicendo che “il linguaggio costruisce la realtà” e “il linguaggio forma il pensiero”: la prima parte del film, che mette a dura prova gli spettatori con tendenze claustrofobiche per l’angustia del piccolo spazio in cui la coppia vive, mostra come invece per il piccolo protagonista non si tratti affatto di una realtà angosciante o di uno stato di deprivazione: grazie a quel che la madre gli racconta, per lui il mondo è “Stanza”, ed è normale che sia così tanto quanto la neve è normale per un bambino del circolo polare artico e sconosciuta ad un coetaneo che vive nella Amazzonia;

Quando i cambiamenti migliorativi non ci rendono felici (un accenno alle separazioni dei genitori)

La reazione di rifiuto che il bambino manifesta quando la mamma inizia a svelargli la presenza di un mondo migliore, più ricco e realmente esistente dietro le mura di Stanza indica quanto non sia il dato di realtà oggettivo a incidere sul nostro umore o su come ci sentiamo, ma come noi viviamo le cose. Potrebbe sembrare assurdo che qualcuno rifiuti l’idea della possibilità di un cambiamento decisamente migliorativo delle proprie condizioni, ma agli occhi del bambino accettare quel mondo migliore significa accettare che la mamma gli ha sempre mentito (anche se a fin di bene), dover fare i conti con una realtà che non lo pone più al centro del proprio microcosmo: quante volte invece ci si stupisce perché i bambini non “accettano” la verità anche se raccontata nei modi migliori (penso ad alcune narrazioni sull’adozione, o a figli di genitori separati esposti a plurime “verità” che per quanto diverse hanno come vero nodo il fatto che credere a uno significa dover pensare che l’altro genitore sia un bugiardo, un cattivo...);

L'importanza della percezione e lo sviluppo psicomotorio (un accenno alle adozioni)

il film inizia con il bambino intento a fare esercizi fisici, per quanto lo spazio lo consenta... Non ci si trova di fronte infatti ad un bambino ipotonico, ma ad uno che saltella su e giù dal letto, magro... insomma, un bambino che appare in forma. Dopo la liberazione, una delle scene più belle del film (se vista con l’occhio della deformazione professionale) è la scena in cui il bambino, in casa dei nonni, non riesce da solo a scendere le scale interne.. per quanto l’ambiente sia illuminato e le scale regolari e di morbida moquette: la trovo una scena geniale perché è stato tenuto conto dell’importanza della percezione: questo bambino non aveva mai incontrato delle scale, potuto vedere dall’alto (o dal basso) qualcosa, e muoversi in uno spazio più ampio lo disorienta. Anche qui penso a quanto venga sottovalutata l’importanza della percezione e dello sviluppo sensomotorio. Se ne parlava nell’articolo sui nativi digitali, ma torno a citare ancora i contesti adottivi (quanto è disorientante per un bambino passare da climi e paesaggi completamente diversi alle nostre città?), situazioni con bambini in affido (è difficile per gli adulti comprendere come mai un bambino non preferisca la mega casa della famiglia affidataria al proprio appartamentino magari un po’ malconcio dove abita con la sua famiglia)

Il legame con la madre

Un’altra finezza del film è il cambiato atteggiamento del bambino una volta riunitosi alla mamma fuori da Stanza, dopo la liberazione: il bambino, pur avendone tutte le competenze, non si relaziona direttamente con altri adulti, ma utilizza la mamma come mediatrice, parlandole nell’orecchio a bassa voce e aspettando che lei riporti all’interlocutore al risposta del figlio. Come è spiegabile tale atteggiamento, considerando che il bambino è del tutto in grado di capire e parlare con persone di cui sa di non aver niente di cui temere? Possiamo spiegarcelo col legame simbiotico e univoco con cui insieme alla mamma è cresciuto, ma anche come un modo che il bambino ha per rassicurare la propria madre rispetto alla loro relazione? Quest’ultima ipotesi prende consistenza passando al punto successivo...

La fatica del tornare alla normalità (accenno al perchè a volte si sta male e non si riesce a guarire)

Le fatiche del ritorno alla normalità: non è infatti il bambino a soffrire maggiormente del cambio di contesto, ma la sua mamma. Il ritorno in una famiglia diversa da come l’aveva lasciata forzatamente e inaspettatamente 7 anni prima, le attribuzioni di colpa (figlie della rabbia) ai familiari per quanto accaduto, la fatica di ambientarsi in un mondo molto cambiato negli anni portano la ragazza a crollare emotivamente proprio quando comunemente ci si aspetterebbe invece il contrario (“Come può soffrire ora che va tutto meglio?” Altra domanda con cui quando si lavora in terapia ci si confronta spesso, portata magari dalle persone riferite a loro stesse o su altri cari)

Giochi familiari

Il contesto familiare: la liberazione, l’accettazione di un bambino figlio di una violenza, il tema della verità narrabile al piccolo sulla propria storia... sono altri temi che emergono dalle interazioni di una quotidianità che lotta per esser tale e fatta di micro interazioni in cucina, nei momenti del pasto, nelle interviste post liberazione alla mamma, negli sguardi tra i genitori della ragazza... Pochi minuti e qualche scena su cui si potrebbe un altro film

Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa navigare più comodamente e meglio sul nostro sito, sperando di rendertelo ancora più interessante. Se desideri saperne di più o vuoi sapere come bloccarli  clicca QUI